A me frega
Non tutti i teatri italiani, a seguito del lockdown dei mesi precedenti, stavano riuscendo ad aprire per la stagione 2020-2021. Da ieri anche quei pochi che ci stavano riuscendo, a grande fatica, sono stati obbligati a chiudere: la forma d’arte performativa, quella che per esistere vuole apertura verso il pubblico, quella che necessita di un continuo movimento e di un continuo scambio ora vive una situazione di immobilità, di stallo e di solitudine.
La scarsissima attenzione e delicatezza mostrata dal Presidente Conte per la categoria non è passata inosservata agli addetti ai lavori. Facciamo da sempre parte di una categoria professionale sui generis: siamo artisti ma siamo anche lavoratori, urliamo all’ingiustizia per avere una dignità professionale ma ce ne dimentichiamo, calpestandola, quando accettiamo di lavorare a 8€ all’ora (avendo dedicato allo studio artistico tanti anni della nostra vita). Si è sempre riscontrata una certa difficoltà nel coltivare un senso professionale comune al di là delle differenze.
Questa volta credo si possa fare lo sforzo di levare una voce tutti insieme, perché non possiamo più stare zitti né perdere tempo a litigare tra di noi. E che questa unione possa continuare anche in periodi più floridi.
Ci siamo sentiti sacrificabili.
Ci siamo sentiti come un’attività non indispensabile, un settore non essenziale a nessuno, a cui poter rinunciare in favore della protezione di altre categorie professionali, decisamente più importanti, o dei lavoratori che devono poter continuare a lavorare per mantenere le famiglie. E noi? L’arte non è un hobby per noi. È ciò a cui abbiamo dedicato gran parte della nostra vita, è il nostro lavoro. Noi con l’arte ci compriamo il pane e manteniamo le nostre famiglie. È ora che venga riconosciuta l’arte anche come una professione e per essere tale non può essere svolta nel tempo libero, ha bisogno della nostra completa dedizione. Eppure ci ritroviamo per la maggior parte del tempo a dover combattere contro le istituzioni perché ci venga permesso di lavorare, piuttosto che a mettere le nostre energie al servizio della questione artistica.
Ma a chi frega più dell’arte? Non è solo il governo a pensare che in un periodo di crisi così estesa l’arte sia l’ultimo dei suoi problemi, lo pensano anche molti di noi. Si dà il caso che l’arte non sia un problema: l’arte ci mette, al massimo, di fronte ai nostri di problemi; ci parla di noi e ci fa pensare; è uno specchio che riflette e che, in aggiunta, rivela più di quanto non sia visibile. Per alcuni l’arte è l’unico modo per avere un contatto con se stessi, è un prendersi cura di sé, per alcuni è un rito ed è una consolazione e per altri una via per comunicare col mondo.
Per me l’arte è il modo che ho di vivere. Forse frega solo a me, ma forse frega anche a chi sta leggendo questo. E in tal caso, siamo già in due.
La sicurezza prima di tutto: su questo ci siamo. Ma se vogliamo chiudere i teatri perché “l’arte in questo momento non è fondamentale” avremmo dovuto avere il coraggio di stracciare e buttare via le poesie di Ungaretti e Primo Levi perché in quel periodo, di certo, la poesia non era la prima preoccupazione di nessuno. Eppure non lo abbiamo fatto perché, per quanto ci faccia stare bene con la coscienza giustificare la chiusura di un’attività che di fatto non ci tange, riconosciamo la potenza travolgente di un’arte sorta da momenti di crisi e da periodi difficili vissuti dall’umanità. E ancora oggi chi non ha mai vissuto in prima persona certi orrori, riesce a tremare nel percepire quel periodo rivolgendosi all’arte.
Eduardo De Filippo diceva che “l’attore”, ma possiamo dire più in generale l’artista, “deve complicarsi la vita” e crearsi degli handicap: nel trovare un modo per lasciarceli indietro possiamo superare noi stessi in quanto artisti. In questo periodo la vita si sta complicando da sola, senza bisogno di aiuto. E per quanto straziante, la paura e il dolore dovuto a questa pandemia sono per noi preziosi materiali artistici.
Fateci lavorare, dunque. Non fateci perdere tempo. Fateci tradurre in arte gli sconvolgimenti che la nostra sensibilità sta attraversando. Ridateci la possibilità di metterci all’opera.
Magari quando noi e voi, o i nostri figli, tremeremo di fronte ad un’opera d’arte che ci rimanda a questa pandemia e quando potremo conservare attraverso l’arte, nella nostra sensibilità, il ricordo di un periodo strano e spaventoso come questo, forse capiremo tutti che valeva la pena tenere i teatri aperti, in sicurezza.
Forse ancora a qualcuno dell’arte frega. A me frega.
Shahrzad
Brava, condivido appieno.
Da bravo fruitore dell arte altrui che mi rende più interessante la vita, ringrazio e sostengo questa causa
"Mi piace"Piace a 1 persona