
Da diverso tempo a questa parte è diventato virale un video di una ex danzatrice ed étoile, Marta C. Gonzàles, ora malata e costretta sulla sedia a rotelle dall’Alzheimer. In questo video la danzatrice sembra ricordarsi ed essere in grado di marcare con le braccia la coreografia originale de Il Lago dei Cigni, anche (e soprattutto) grazie al coinvolgimento della musica di Ciaikovskij. Questa reazione è affascinante.
Facciamo, però, chiarezza perché purtroppo chi lo ha pubblicato ci ha dedicato troppe poche parole. Cerchiamo di essere affascinati da fatti reali, non dalle parole e cerchiamo i motivi giusti per esserlo.
Chiunque lavori nel campo della danza come professionista ha sicuramente sperimentato questa funzione neurologica, a cui pare sia collegata la recente scoperta delle neuroscienze relative ai Neuroni Specchio: al riascoltare una musica su cui si è danzato, nonostante la mente abbia in un certo modo dimenticato la coreografia, il corpo la ricorda ed è anche capace di riprodurla, quasi come se fosse indipendente dalla propria volontà e dal proprio ricordo cosciente. E’ quella fondamentale funzione, che si impara a sviluppare in anni di studio e di pratica, che chiamiamo Memoria del corpo.
Lo sconforto non mi è sopraggiunto dalle molte persone che mi hanno inoltrato il video, dicendo di essersi commosse: è normale che si stringa il cuore a vederlo (come qualsiasi cosa al mondo riguardi malattie e disabilità…) ed è ancora più comprensibile che siano persone non addette ai lavori ad emozionarsi così tanto.
Lo sconforto è sopraggiunto dalla spettacolarizzazione di questo video che è stato pubblicato, purtroppo, su una rivista specialistica, cioè Il Giornale della Danza col titolo “Il potere taumaturgico della danza” a cura di Lorena Coppola.
Capisco che un giornale debba fare visualizzazioni ed incassi, ma una rivista specialistica (in un mondo ideale), non dovrebbe avere bisogno di spettacolarizzare una malattia per far parlare di una forma d’arte come la danza e non dovrebbe mettere davanti al “bene dell’arte” i propri interessi di marketing. Una rivista specialistica dovrebbe essere diretta da professionisti del settore che conoscono ciò di cui parlano, che abbiano voglia di essere sinceri col pubblico e che mettano al primo posto la diffusione e la divulgazione di una forma d’arte complessa. Qui non è stato fatto.
Partiamo dal titolo: “Il potere taumaturgico della danza” porta avanti uno stereotipo deleterio nell’immaginario collettivo, ovvero quello del misticismo legato a certe forme d’arte. Non ci stupiamo se poi l’opinione pubblica immagina l’artista come una sorta di sciamano in contatto con forze ed energie cosmiche. Ad alcuni artisti poco professionali conviene vendersi in questo modo perché così facendo non hanno bisogno di spiegare il proprio lavoro in modo razionale (forse perché non c’è razionalità dietro al loro lavoro) ma nella maggior parte dei casi è un’immagine assolutamente falsa di un’attività che oltre a riguardare una forma d’arte è anche un lavoro, fatto di cose concrete, di competenze e conoscenze. Mettiamo le cose in chiaro: non si tratta di magia, non si tratta di miracoli, non si tratta di potere inspiegabile e mistico. In questo caso non si tratta, persino, nemmeno di arte. L’unica cosa che può essere affascinante di questo video è la prospettiva neurologica. E’ affascinante vedere come alcune entità psichiche si sedimentino ad un livello molto profondo nel nostro cervello e anche quando una malattia degenerativa colpisce alcune aree, ci sono determinati aspetti che riguardano il nostro ricordo e la nostra vita che rimangono intatti e riescono ad emergere in alcune situazioni, a seguito di determinati imput e stimoli. E’ affascinante vedere come il corpo abbia una memoria di movimento, anche quando la mente non è conscia di quel ricordo.
Quindi cerchiamo di essere sinceri con noi stessi.
Rendiamoci conto che quello che ci commuove non è l’arte e non è la danza: è il pietismo, è la disabilità, è la malattia. A farci dire ‘oh che bello, che dolce…’ non è di certo la capacità dell’arte che “vince ogni ostacolo […] finanche quello di una malattia come l’Alzheimer” (cito dall’articolo), anche perché l’arte non vince malattie del genere. Nell’articolo si parli di movimenti armoniosi e poetici legati… ma su, cerchiamo di essere intellettualmente onesti: non c’è niente di sconvolgente, niente di straordinario e niente di specialmente commovente nei movimenti comprensibilmente abbozzati e raffazzonati della danzatrice in questione. Il discorso intorno a cui gravitano questi aggettivi volutamente forzati è proprio il pietismo: è poetico il fatto che una persona anziana e disabile possa ancora muoversi, nonostante tutto. Di certo questo non ha un valore artistico, perché determinate malattie disabilitano, inevitabilmente e nella pratica, la capacità motoria di un individuo e questo è uno di quei casi.
Quindi no, l’arte non vince gli ostacoli posti dalla malattia perché la danzatrice non è guarita, non è riuscita a danzare e non è migliorata. Qui l’arte non c’entra niente. Ed è per questo motivo che trovo grave che una rivista specializzata abbia dato in pasto all’opinione pubblica un’idea scientificamente sbagliata (anzi, nessuna idea scientifica), stereotipata e carica di pietismo che promulga un’idea assolutamente scorretta e irreale di un’attività artistica che già si conosce poco e di certo non ha bisogno di questa disinformazione da parte di quelli che dovrebbero essere professionisti del settore. Questa mitizzazione dell’arte crea delle aspettative nel pubblico che la realtà non soddisfa ed è proprio questo atteggiamento che, tra molti altri fattori, causa l’allontanamento e il disinteresse delle persone nei confronti dell’arte.